Lettera di intellettuali e amici congolesi al Segretario generale dell’ONU
Noi, scrittori, artisti, giornalisti, personalità religiose, avvocati, medici, membri della società civile, ricercatori e professori universitari del Congo e del mondo intero, dopo aver letto la lettera che intellettuali ruandesi sparsi nei diversi continenti e una manciata di loro amici stranieri vi hanno indirizzato in merito ai tragici eventi nell’Est del nostro Paese (vedere genocidealertdrc.org ), abbiamo ritenuto essenziale allegare qui informazioni utili alla ricerca di una soluzione duratura alla crisi nell’Est del Congo.
A prima vista, sembra chiaro che la maggior parte delle personalità firmatarie di questa lettera abbiano risposto in buona fede alle insistenti richieste dei suoi autori, il cui unico obiettivo era difendere « la loro causa », anche a scapito dei principi e delle verità storiche. Ci si sarebbe aspettato, almeno, che i firmatari deplorassero innanzitutto i fatti attuali: massacri di popolazioni civili a Goma; molteplici esecuzioni sommarie a Bukavu; distruzione dei campi profughi; stupro di donne e ragazze; imposizione di punizioni corporali degradanti; esclusione degli operatori umanitari dalla zona di occupazione. Nessuna condanna per questi crimini.
Non può che sorprendere la chiara volontà degli autori della lettera di ignorare uno dei principi fondamentali del diritto internazionale: il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, che oggi costituisce la base delle condanne dell’intera comunità internazionale di fronte alle violenze e alle violazioni perpetrate dal Ruanda da 30 anni e alla sua presenza sul territorio della Repubblica Democratica del Congo. Gli autori della lettera giustificano addirittura questa violazione del principio spiegando che il conflitto nell’est del Congo non deve essere compreso attraverso la » narrazione unica del rischio di balcanizzazione del Congo e dello sfruttamento delle sue risorse naturali « , ma che esso è il risultato di una miscela esplosiva di tensioni sociali ed economiche, tra cui spicca l’esclusione dei tutsi congolesi. Per gli autori, quindi, più che la volontà di espansione territoriale e di sfruttamento delle risorse minerarie, sarebbero la sorte dei Tutsi congolesi e la presenza di membri delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) a giustificare la violazione del principio di inviolabilità delle frontiere da parte del Ruanda.
I firmatari non sono riusciti a spiegare in che modo questi atti bellicosi e criminali possano migliorare la situazione dei Tutsi in Congo. D’altro canto, un intellettuale tutsi congolese, Alexis Gisaro, che è anche ministro dei Lavori pubblici a Kinshasa, ha dichiarato chiaramente, a nome della sua comunità: » Non abbiamo chiesto a nessuno Stato straniero di prendersi cura di noi ! »
I ripetuti attacchi al territorio congolese da parte del Ruanda, cinque in totale dal 1996 a oggi, hanno infatti contribuito, secondo l’opinione di tutti, a complicare la situazione dei congolesi parlanti kinyarwanda. Ciò può essere valutato confrontando la situazione degli ultimi decenni con quella degli anni precedenti, dal periodo coloniale agli anni Novanta.
È anche sorprendente notare che gli autori della lettera riducono l’essenza, l’esistenza e il governo della Repubblica Democratica del Congo, un paese con una superficie di 2.345.410 km2, con circa 450 gruppi etnici diversi, una popolazione che supera i 100 milioni di abitanti e con istituzioni democratiche, a uno scontro tra lo Stato e la sua popolazione da un lato, e la minoranza tutsi che rappresenta meno dell’uno per cento della popolazione totale, dall’altro.
L’altro approccio scandaloso degli autori è quello di considerare che l’ideologia e la pratica del genocidio Tutsi sarebbero inevitabili e imperativamente generalizzabili; e che il Congo sarebbe in una posizione morale, permanente e ufficiale per impegnarsi in tale iniziativa. Le Nazioni Unite sono pertanto invitate a « non ripetere gli stessi tragici errori di giudizio commessi durante il genocidio perpetrato contro i Tutsi in Ruanda nel 1994 « .
Signor Segretario Generale,
Facendo riferimento a uno studio approfondito della storia dell’intera regione, la lettera presenta l’emergere dell’M23 come la » conseguenza della sistematica privazione dei diritti umani dei Banyarwanda e dei Tutsi nella RDC « . Oltre al fatto che queste affermazioni, che si pretendono così scientifiche, avrebbero dovuto basarsi su riferimenti precisi e inconfutabili, vorremmo sottolineare l’uso simultaneo e malevolo dei termini « Banyarwanda e Tutsi ». Nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nel Nord Kivu, sono presenti popolazioni di lingua kinyarwanda, composte da hutu, in maggioranza, e tutsi. È intellettualmente onesto sottolineare che le varie ribellioni e spedizioni punitive guidate dal Ruanda negli ultimi 30 anni hanno avuto l’unico obiettivo di difendere i soli Tutsi e che gli Hutu congolesi sono stati in gran parte vittime.
Vi preghiamo di volerci chiedere di notare questi fatti significativi, che dimostrano l’opposto di ciò che stiamo cercando di farvi credere:
- In questo momento, mentre la guerra infuria nell’est del paese, ci sono Tutsi congolesi che sono membri del governo, del parlamento e delle istituzioni pubbliche congolesi, tra cui l’esercito, come il generale Masunzu. Da dove verrebbe questo odio verso i Tutsi?
- Da un punto di vista storico, la stragrande maggioranza dei ruandesi in Congo fu insediata dalla potenza coloniale nell’ambito di iniziative volte a sostenere la nascente industria congolese (1927) o come gesto umanitario per drenare l’eccesso di popolazione ruandese verso il Kivu (1937-1945, 1949-1955). Alla vigilia dell’indipendenza del Congo, la legge elettorale coloniale del 23 marzo 1960 non concedeva a tutti gli immigrati e ai loro discendenti la possibilità di essere elettori; Riconosceva questo diritto solo ai residenti da più di dieci anni. Tuttavia, fin dal primo governo del 1960, il Congo indipendente ebbe tra i suoi membri un ruandesefono, nella persona di Marcel Bisukiro, ministro del Commercio estero. Dov’era a quel tempo il cosiddetto odio verso i ruandesi da parte del popolo congolese?
- Dal 1959 al 1994, per quattro decenni, il Congo-Zaire ha accolto, accolto e integrato socialmente contingenti di rifugiati Tutsi , condannati all’esilio, in fuga dai pogrom ruandesi. Molti hanno studiato nelle scuole e nelle università congolesi, ricevendo anche borse di studio. Successivamente ricoprono vari incarichi nelle istituzioni della Repubblica e nei servizi pubblici; hanno lavorato come imprenditori, avvocati, insegnanti di scuola superiore o professori universitari. Il più noto tra loro, Barthélemy Bisengimana Rwema, ingegnere laureatosi all’Università di Lovanium a Kinshasa, fu capo dello staff di Mobutu dal 1969 al 1977 e di fatto esercitò responsabilità normalmente assegnate a un vicepresidente della Repubblica. Fu lui a gestire il dossier della nazionalizzazione delle imprese ( zairianizzazione ), creando una baronia tutsi in Congo, in particolare nel Kivu. A lui si deve anche la legge n. 72-002 del 5 gennaio 1972, che stabilisce che le persone provenienti dal Ruanda-Urundi che si sono stabilite nella provincia del Kivu prima del 1° gennaio 1950 in seguito alla decisione dell’autorità coloniale e che hanno continuato a risiedere nel paese da allora, hanno acquisito la nazionalità zairese il 30 giugno 1960. A quel tempo, dov’era l’odio per i Tutsi?
- Nelle rivolte muleliane che ebbero luogo nel Sud Kivu, i rifugiati tutsi combatterono attivamente a fianco dei ribelli congolesi, come testimonia Ernesto Che Guevara nei suoi scritti. A quel tempo, dov’era l’odio per i Tutsi? Il rivoluzionario boliviano ha anche osservato che le persone di origine ruandese incontrate nella regione di Fizi conservavano saldamente un senso di attaccamento alla loro patria. Avrebbero avuto particolari difficoltà a integrarsi in altre comunità?
- Furono gli immensi privilegi concessi ai Tutsi durante il periodo Bisengimana ad aggravare ulteriormente la rabbia dei non Tutsi. Le loro crescenti richieste divennero più intense con il declino del potere di Mobutu. Sebbene non si siano mai verificate molestie nei confronti degli studenti tutsi nel campus di Kinshasa, vi fu invece l’esclusione, alla Conferenza sovrana nazionale, nel quadro generale di quelli che all’epoca venivano definiti « zairesi di dubbia nazionalità », dei ruandesi, siano essi tutsi o hutu. Questo sentimento fu poi esacerbato dal fatto che diversi Tutsi, considerati congolesi, diedero apertamente il loro sostegno morale e finanziario alla ribellione contro l’ex regime in Ruanda e che alcuni, soprattutto di Masisi e Rutshuru, vi si unirono. Diversi leader tutsi congolesi hanno fornito la prova di questa complicità, tornando in massa in Ruanda dopo la presa del potere da parte dell’RPF e occupando posizioni elevate, anche nell’esercito.
Inoltre, durante tutto il periodo compreso tra il rovesciamento di Mobutu nel maggio 1997 e l’arrivo al potere di Felix Tshisekedi nel gennaio 2019, fatta eccezione per il breve interludio (da metà 1998 a gennaio 2001) di rottura tra il Ruanda e Laurent Kabila che portò al suo assassinio, le élite tutsi hanno avuto il controllo effettivo dei principali ingranaggi del potere nella RDC: servizi segreti, forze di sicurezza e difesa, istituzioni della Repubblica. Secondo la credenza popolare, senza la decisione di Kigali, in Congo non si sarebbe potuto fare nulla di significativo in quel periodo.
In queste condizioni è difficile comprendere il discorso sui Tutsi esclusi ed emarginati sostenuto dai firmatari di questa lettera. Tuttavia, nello stesso periodo nacquero e divamparono nel Kivu le rivolte del Raggruppamento congolese per la democrazia (RCD), del Congresso nazionale per la difesa del popolo (CNDP) e dell’M23, con lo scopo di difendere le stesse popolazioni tutsi.
Signor Segretario Generale,
Prima di arrivare alla questione delle FDLR, tanto sfruttate dalle autorità ruandesi , consentirci di esprimere la nostra sorpresa per la narrazione tendenziosa della lettera che, nel tentativo di identificare le principali forze sul terreno, pone l’M23 sullo stesso piano delle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC); Associa necessariamente le FDLR ai Wazalendo, attribuendo a entrambi un’ideologia genocida. È stato affermato che gli autori e i firmatari della lettera a voi presentata hanno documentato fatti di violenza commessi contro i Tutsi dai Wazalendo, fatti che sarebbero difficili da nascondere a causa della presenza di truppe e servizi delle Nazioni Unite nelle zone interessate.
È sorprendente che lo Stato ruandese sia più preoccupato per la situazione dei ruandesi congolesi (Tutsi) e non per quella dei ruandesi ruandesi che vivono in Congo, sostenendo che sono autori di genocidio. Con questo concetto delle FDLR, lo Stato ruandese decretò l’emarginazione del gruppo etnico maggioritario del Ruanda, ovvero gli Hutu, decimati e massacrati per tre decenni in Congo. Nell’immaginario popolare creato dal potere ruandese, oggi Hutu=Interahamwe=FDLR.
Ricordiamo che gli eserciti ugandese e ruandese hanno massacrato sistematicamente i rifugiati hutu durante gli anni 1996-97 nelle foreste congolesi, al punto che alcuni analisti hanno parlato di genocidio hutu successivo a quello tutsi. Il più significativo fu il massacro di centinaia di migliaia di rifugiati hutu nella foresta di Tingitingi , ampiamente documentato, in particolare dal Mapping Report e da diverse organizzazioni per i diritti umani, e per il quale le Nazioni Unite non ottennero mai l’autorizzazione dai ribelli congolesi dell’AFDL e dai loro sostenitori ruandesi. L’ambasciatore ruandese all’ONU ha addirittura dichiarato il 3 febbraio 1997: » Non ci sono rifugiati all’interno dello Zaire, ma 40.000 soldati hutu e le loro famiglie « . La comunità internazionale ha preferito dimenticare questi massacri che continuano a perseguitare la memoria dei contadini congolesi che non avevano mai visto prima una violenza di questa portata.
Le ribellioni ruandesi dell’RCD, del CNDP e dell’M23 hanno continuato questo lavoro dal 1998 fino ai giorni nostri. E, per porre fine alle ricorrenti accuse di complicità con le FDLR, la RDC, su richiesta della comunità internazionale, aveva autorizzato l’esercito ruandese a entrare in territorio congolese per dare la caccia agli Interahamwe (Hutu), dal 2009 al 2012, sotto l’etichetta di operazioni denominate successivamente Umoja Wetu (la nostra unità), Kimia I e II (pace), Amani Leo (pace oggi).
Successivamente, il Governo della Repubblica firmò l’Accordo di Pretoria con il Ruanda il 31 luglio 2002, alla presenza del Governo sudafricano, che costituiva una Parte Terza. Con questo accordo si è stabilito un accordo per ridurre significativamente il numero di FDLR operativi sul suolo congolese in cambio del ritiro delle truppe ruandesi dal territorio congolese.
Diversi rimpatri di FDLR e dei loro familiari furono effettuati dalla base militare di KAMINA con l’assistenza delle Nazioni Unite attraverso la loro operazione di mantenimento della pace, MONUC, divenuta in seguito MONUSCO. La nostra argomentazione si basa su date e fatti che i vostri servizi competenti potrebbero corroborare, perché nulla è stato fatto senza il loro coinvolgimento. Eccole qui:
- 18 aprile 2014 : Il capo delle forze negative ruandesi, FDLR, ha inviato una lettera a diverse personalità mondiali per informarle del suo impegno a procedere, a partire dal 30 maggio 2014 e di fronte a testimoni, al disarmo volontario dei suoi combattenti, presenti da diversi anni nelle province congolesi del Nord e del Sud Kivu.
- 2 luglio 2014 a Luanda, Angola. Su mandato dei rispettivi capi di Stato, preoccupati di preservare vite umane, i ministri degli Affari esteri e della Difesa nazionale degli stati membri della SADC e dell’ICGLR avevano deciso di concedere alle FDLR un periodo massimo di 6 mesi, vale a dire fino al 2 gennaio 2015, per rispettare questo impegno, in caso contrario sarebbe scattata l’opzione militare contro i loro combattenti che, entro tale termine, non avessero deposto volontariamente le armi.
- A partire dal 2 gennaio 2015 , il governo della RDC, così come la MONUSCO, la SADC, l’ICGLR, l’Unione Africana e il Meccanismo di Verifica Congiunta Esteso composto da esperti militari di tutti gli stati membri dell’ICGLR, testimoni del processo di disarmo volontario annunciato dalle FDLR, hanno osservato che la resa dei combattenti delle FDLR è avvenuta in tre ondate, come segue:
- 20 maggio 2014 : 104 combattenti del KATEKU, nella provincia del Nord Kivu, si sono arresi con 104 armi, tra cui 12 armi collettive.
- 9 giugno 2014 : 83 combattenti a KIGOGO, nella provincia del Sud Kivu, si sono arresi con 83 armi, tra cui 8 armi collettive.
- Il 28 dicembre 2014 : 84 combattenti nel BULEUSA nel Nord Kivu e 67 nel BURINYI nel Sud Kivu si sono arresi, rispettivamente con 37 e 30 armi, tra cui 11 armi collettive.
In totale,338 combattenti si arresero e 254 armi furono deposte. Ciò rappresentava solo il 26% del numero totale di combattenti delle FDLR presenti nella RDC, stimato in 1.300 nell’ottobre 2012 dal team di valutazione militare, un organismo istituito a tale scopo dal Vertice dei capi di Stato e di governo dell’ICGLR e composto da esperti militari di questa organizzazione regionale.
- L’8 dicembre 2016 , la RDC ha consegnato senza troppe difficoltà Ladislas NTAGANZWA, un leader delle FDLR arrestato nel Nord Kivu.
- 30 novembre 2018 : i campi di Walungu, Kanyabayonga e Kisangani vengono chiusi e tutti i membri delle FDLR e i loro familiari vengono rimpatriati in Ruanda, per un totale di 1.609 combattenti rimpatriati.
- Settembre 2019 : Sylvestre MUDACHUMURA e Ignace IRETEGEKA, leader delle FDLR, vengono neutralizzati da un’operazione congiunta delle FARDC e dell’esercito ruandese.
- Settembre 2024 : Mentre il processo di Luanda era in stallo, il governo della RDC ha catturato il leader delle FDLR, Generale Pacifique NTAWUNGUKA, alias “Omega”.
Da quanto sopra, vale la pena notare che il Ruanda non ha mai compiuto un solo gesto di reciprocità, nonostante la raccomandazione dell’ottavo vertice di alto livello del meccanismo di monitoraggio regionale dell’accordo quadro, tenutosi a Brazzaville il 19 ottobre 2017, in merito.
La cosa più sorprendente è che alcuni di questi elementi hutu ruandesi delle FDLR, rimpatriati in Ruanda, si sono ritrovati di nuovo in Congo, massacrando la popolazione congolese e saccheggiando le risorse naturali. Ci sarebbero quindi delle FDLR vere e delle FDLR false. Fu in Congo, e non in Ruanda, che le FDLR perpetrarono il maggior numero di massacri di popolazioni civili, continuando a servire da alibi per mantenere intere regioni congolesi sotto la sfera di influenza del Ruanda.
Signor Segretario Generale,
Sottoponiamo alla vostra corretta valutazione il fatto che l’M23, condannato da numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dall’Unione africana e dall’Unione europea, nonché dalle Comunità economiche regionali africane, è totalmente scagionato e insabbiato dagli autori e dai firmatari di questa lettera.
Vogliamo umilmente ricordare che, come attestano diversi rapporti delle Nazioni Unite, delle ONG nazionali e internazionali, nonché dei media, continuano a perpetrarsi crimini di guerra e crimini contro l’umanità da parte di questo gruppo armato e dei suoi sostenitori ruandesi: massacri di civili, violenze sessuali, reclutamento di bambini soldato, sfollamento di migliaia di persone, ecc. Lo testimoniano le migliaia di morti nell’invasione di Goma (oltre 6.000), così come un video diventato virale sui social media che mostra un soldato ruandese, membro della spedizione, vantarsi di aver violentato una suora.
Per quanto riguarda la presenza delle truppe delle Nazioni Unite, siamo semplicemente sorpresi che gli autori e i firmatari di questa lettera, cittadini di paesi membri delle Nazioni Unite e che chiedono l’intervento del Segretario generale delle Nazioni Unite, possano considerare in modo così fazioso che la MONUSCO » si è allontanata dalla sua missione di mantenimento della pace associandosi strettamente a questi gruppi armati (genocidi) ». Deploriamo il fatto che la MONUSCO sia stata ripetutamente presa di mira dagli attacchi dell’M23 e che si siano verificate perdite umane.
Signor Segretario Generale,
Che esista un legame più che evidente tra questi attacchi mortali e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del suolo e del sottosuolo congolese è ampiamente affermato e confermato, anche numericamente, da numerosi osservatori, ricercatori e analisti della situazione. Sarebbe pretenzioso, persino indecente, mettere in dubbio tutto ciò e far credere alla gente che tutti i rapporti dei Comitati di esperti delle Nazioni Unite siano sbagliati. Anche l’ultimo rapporto dimostra che la scelta delle regioni attaccate segue meticolosamente l’ubicazione dei siti di estrazione artigianale di minerali strategici.
C’è un altro motivo per cui i firmatari della lettera preferiscono tacere, ma che emerge chiaramente nei discorsi ufficiali in Ruanda: le mire espansionistiche del regime di Kigali e la volontà di conquistare una parte del territorio congolese con il fallace pretesto del mito della ricostituzione del grande Ruanda precoloniale . I leader ruandesi esprimono questa ambizione da 30 anni. Il 10 ottobre 1996 a Cyangugu, Pasteur Bizimungu, allora presidente del Ruanda, dichiarò: « Se i nostri combattenti sono attualmente nello Zaire, lì sono a casa loro ! ». Nell’aprile 2023, Paul Kagame, in visita a Cotonou, in Benin, ha a sua volta affermato: I confini tracciati durante l’era coloniale hanno diviso i nostri Paesi; gran parte del Ruanda rimase fuori, nel Congo orientale. » Senza menzionare il principio dell’inviolabilità delle frontiere ereditate dalla colonizzazione, adottato al 2° Vertice dell’OUA nel 1963,L’esistenza di questo grande Ruanda non è riconosciuta da nessuno storico professionista, poiché il regno del Ruanda non ha mai raggiunto le dimensioni spaziali dell’attuale Repubblica del Ruanda.
Per quanto riguarda ilLa questione dei rifugiati Tutsi congolesi residenti in Ruanda, che, secondo i ripetuti discorsi dei leader ruandesi, costituirebbero una delle principali giustificazioni (chiamate cause profonde del conflitto) per le ribellioni e i vari attacchi, poiché la Repubblica Democratica del Congo sarebbe la loro terra natale. La lettera indirizzata al Segretario generale, tuttavia, indica che migliaia di rifugiati tutsi ruandesi » sono condannati a una vita precaria nei campi in Burundi, Uganda e Kenya « . La storia ci racconta che la Tanzania, in seguito a una decisione presidenziale, ha rimpatriato forzatamente 15.000 rifugiati ruandesi, principalmente Tutsi, che vivevano nella regione di confine di Kagera nell’agosto 2013. È curioso notare che il governo ruandese, impegnato nella difesa dei Tutsi, non ha cercato di rimpatriare i suoi cittadini né ha mosso guerra agli altri paesi confinanti che, va notato, includono anche popolazioni Tutsi.
Anche la vita dei rifugiati congolesi che vivono in Ruanda non è facile. Il governo ruandese stima che il numero sia di centinaia di migliaia, mentre le ONG ne stimano 80.000 e le autorità congolesi 72.000. Cinque di loro sono stati uccisi e circa venti sono rimasti feriti dalla polizia nel febbraio 2018 nel campo di Kiziba, nel Ruanda occidentale, durante la repressione seguita a diversi giorni di proteste contro la riduzione delle razioni alimentari.
Nel maggio 2023 è stato firmato un accordo tripartito tra il governo della RDC, il governo del Ruanda e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, relativo al rimpatrio volontario dei rifugiati congolesi residenti in Ruanda. Il Ruanda non ha mai ottemperato alla richiesta di controlli fisici individuali richiesti dagli altri due partner.
Signor Segretario Generale,
Concludiamo.
Una soluzione duratura alla crisi attuale deve affrontare efficacemente le cause profonde di questi conflitti. Queste cause profonde non sono congolesi; Sono intra-ruandesi e si inseriscono nell’antagonismo tra Tutsi e Hutu. La comunità internazionale, pur essendo consapevole di questa realtà, finge di ignorarla. Per evitare di scontrarsi con il regime di Kigali, che ha saputo sfruttare la cattiva coscienza internazionale riguardo al genocidio dei Tutsi, preferisce adottare un atteggiamento compiacente nei confronti del regime ruandese, evitando di essere accusato di negazionismo.
Solo una vera riconciliazione tra Tutsi e Hutu, sul territorio del Ruanda, sarebbe il vero punto di partenza per una pace duratura, base « esistenziale » dell’armonia nei Paesi dei Grandi Laghi. La guerra del Kivu non è altro che la continuazione di un’interminabile guerra tra Ruanda e Ruanda in territorio congolese, una guerra sfruttata a proprio piacimento per fini espansionistici e pratiche mafiose di commercializzazione e finanziamento dell’economia dei minerali, delle terre rare e dello sfruttamento agricolo e forestale.
La comunità internazionale e le istituzioni religiose nazionali e regionali devono avere il coraggio di affrontare questa spinosa questione per porre fine definitivamente all’attuale spirale di guerre e violenza. Ridurre questa crisi alla soluzione di semplici controversie politiche in Congo sarebbe un gravissimo errore, come dimostra la nostra storia recente.
La incoraggiamo, signor Segretario generale, a proseguire i suoi sforzi per affrontare questa spinosa questione nella sua interezza, per l’onore dell’umanità e la credibilità delle Nazioni Unite.
Un peuple qui ne se bat pas pour se libérer, sera toujours sous la dépendance. Le grand Congo mérite veut…